mercoledì 13 giugno 2012

La pioggia ha un buon sapore (Gli incubi dei pesci rossi #3)


Gli incubi dei pesci rossi è una rubrica della mia amica 21 grammi, in cui troverete i suoi "farfugliamenti, le cose personali, le improvvisazioni imperfette e sbavate", insomma... commenti e pensieri di pancia, quello che le viene dal di dentro durante o dopo le sue letture. Le ho dato carta bianca, e lascio a lei la parola...
- Matteo

Capita, a volte, che i libri ti portino indietro nel tempo. Fanno riaffiorare dei ricordi rimasti sopiti. Delle sensazioni che erano rimaste chiuse lì, in uno di quei barattoli tenuti in ordine nella credenza personale che ognuno di noi porta con sé, dentro di sé.
Capita a volte che una frase, quella precisa disposizione di parole, funga da leva, e che più che parlare della leva, dei libri, tu voglia parlare del contenuto del barattolo.
Capita, a volte. Come questa.

Voglio solo che tu rifletta, come uno specchio, tutte le ore che per te sono state quest’ora. Non per un esercizio mnemonico, o letterario. Ma per trovare, nella tua vita, più felicità di quanto ritieni di averne avuta. 
- Stefano Benni, L'ora più bella
Quando ero piccola mi piaceva saltare nelle pozzanghere. Quando tornavamo da scuola, io e mia sorella, e la mattina era piovuto, percorrevamo la strada tra la fermata dello scuolabus e casa mettendoci i piedi proprio dentro. Mamma ci teneva d'occhio dalla finestra, e non poteva fare a meno di sgridarci. Noi non la stavamo a sentire, e continuavamo a schizzarci, ribelli.
Mi ricordo che un pomeriggio dovevamo uscire in famiglia, e c'eravamo messe i vestiti nuovi. Mentre aspettavamo che i nostri genitori finissero di prepararsi, chiedemmo il permesso di uscire fuori, con la raccomandazione di non sporcarci. Nientemeno, era appena piovuto. Rincasammo praticamente fradice, quadri astratti di acqua fangosa. Fu una delle poche volte in cui mamma prese il cucchiaio di legno. O forse era la scopa. Finimmo a piangere accantucciate in due degli angoli della stanza. Dell'ingresso, precisamente: neanche il tempo di rientrare che ci era saltata addosso, furiosa. Dopo dieci minuti mamma ci abbracciò e si scusò. Non è mai stata un tipo dal pugno di ferro, e io penso di aver ripreso da lei. 
Comunque. 
Credo che il mio -chiamiamolo- amore per la pioggia sia nato così, dal gioco delle pozzanghere, e dal fatto che era piacevole disubbidire agli adulti. Negli anni ho smesso di sporcarmici, con la pioggia, ma ho cominciato ad apprezzarne altri aspetti. L'odore, e il rumore.
Adoro il suo profumo, quello che c'è alle prime gocce che cadono, quando il suolo non è ancora completamente bagnato. Quell'odore di terra umida. E mi piace anche quello che c'è dopo, quell'aria fresca che sa di pulito, di purificato.
E il rumore. Il ticchettio delle gocce sul tetto della macchina, mentre mi dirigo verso il mare e qualche canzone lacrimogena suona dalle casse del lettore cd. O quello sul tetto di casa, quando sei sotto le coperte e ti gusti il tepore e quella ninnananna prodotta dalla natura.
«Sono sempre pazza, sapete. La pioggia ha un buon sapore, è bello sentirsi toccare dalla pioggia. Mi piace camminare sotto la pioggia.»
- Ray Bradbury, Fahrenheit 451
Avete mai passeggiato sotto la pioggia? Non parlo delle corse tra la macchina e il portone di casa, in fretta e in furia per non bagnarsi. Né delle mattine in cui siete usciti sprovvisti di ombrelli o impermeabili e vi siete dovuti arrangiare proseguendo a passo svelto, riparandovi sotto i balconi o le tende dei bar.
No.
Parlo di quella volta in cui avete, o no, scelto deliberatamente di camminare, passeggiare, sotto la pioggia, con l'ombrello chiuso.

Una delle mie ore più belle, che Bradbury mi ha evocato, e Benni ha rinsaldato continuando a farmici pensare, è stata una decina di anni fa.
Avevo quindici o sedici anni, ed era estate. Abitavo ancora nella casa in campagna, ed era scoppiato un temporale estivo.
D'impulso presi un ombrello e uscii, sempre per la solita stradina in cui un tempo saltavo nelle pozzanghere.
Quella stradina proseguiva lungo un piccolo corso d'acqua, e attraversava i campi. Quasi subito, dopo i primi metri, chiusi l'ombrello.
 
Il naso all'insù.
Prime gocce sulla faccia.
Occhi chiusi.
Perle tra le ciglia.
La rugiada sui fili dei capelli.
Le spalle picchiettate.
L'odore della terra bagnata.
Il cielo grigio.
Pioggia. 
Tanta pioggia.
I capelli appiccicati.
Occhi aperti.
Occhi liquidi. 
I papaveri rossi di un campo.
La canotta che aderisce.
I capelli che grondano.
I rivoli che scendono lungo il collo.
Nell'incavo del seno.
I capelli che grondano.
E lungo le braccia.
E lungo tutto il corpo.
E vieni percorsa.
I capelli che grondano.
Diventi autostrada.
Gocce che scivolano.
E vieni lavata.
Gocce che corrono.
E vieni toccata.
Gocce che leccano.
E vieni mondata.

2 commenti:

  1. :') (Pure io adoro la pioggia, e camminarci sotto. Però non lo faccio spesso. Solo quando sono particolarmente ispirato, e felice. Ehm.)

    Leggendoti, mi è venuta in mente questa canzone (e relativo video). *_* (Tra l'altro, il titolo vuol dire proprio "saltando nelle pozzanghere".)

    RispondiElimina
  2. (Allora dobbiamo fare in modo che. ^^ :*)

    Bella la canzone *__* e anche il titolo, pure onomatopeico :')

    RispondiElimina