Titolo originale: La Nuit
Autore: Elie Wiesel
Traduttore: Daniel Vogelmann
Anno di edizione: 1980
Editore: La Giuntina
Pagine: 112
Prezzo: 10 €
"Ciò che affermo è che questa testimonianza, che viene dopo tante altre e che descrive un abominio del quale potremmo credere che nulla ci è ormai sconosciuto, è tuttavia differente, singolare, unica. (...) Il ragazzo che ci racconta qui la sua storia era un eletto di Dio. Non viveva dal risveglio della sua coscienza che per Dio, nutrito di Talmud, desideroso di essere iniziato alla Cabala, consacrato all'Eterno. Abbiamo mai pensato a questa conseguenza di un orrore meno visibile, meno impressionante di altri abomini, ma tuttavia la peggiore di tutte per noi che possediamo la fede: la morte di Dio in quell'anima di bambino che scopre tutto a un tratto il male assoluto?" (dalla prefazione di F. Mauriac)
Il mio commento
Leggere romanzi è un rifugio, un viaggio. È facile perdersi in storie e mondi inventati, interessante vedere fin dove può spingersi la fantasia di un autore, quali corde dell'animo riesce a sfiorare col semplice uso della parola.
Delle volte, però, bisogna anche rimanere ancorati alla realtà, e certi viaggi, per quanto devastanti essi possano essere, sono un dovere, sono necessari.
Leggere La notte è un viaggio nell'orrore, nella memoria di un sopravvissuto ai campi di concentramento.
È la storia di Eliezer Wiesel, un adolescente qualunque, della sua famiglia, e di tanti, troppi uomini.
È la storia di Sighet, una piccola cittadina della Transilvania, e dei suoi abitanti ebrei, della loro inconsapevolezza, della loro speranza. Erano stati avvisati, da un ebreo straniero scampato a un massacro, dell'orrore che si faceva sempre più vicino. Avrebbero forse avuto il tempo di scappare, ma non avevano voluto prenderlo sul serio, l'avevano scambiato per un matto.
O forse, più semplicemente, non osavano credere che il genere umano fosse capace di tanta atrocità.
Di certo non immaginavano i campi, le camere a gas, i fuochi, il fumo, le fosse, l'odore di morte, di putrefazione. La crudeltà di certi uomini in divisa.
Cosa si può dire di un libro così? Non so quanto si possa considerare bello, appassionante, un libro sull'olocausto. È storia vera, una testimonianza vissuta, non puoi rifugiarti dietro il pensiero "stai calmo, tanto è tutto finto!" che magari tieni bene a mente mentre vedi un film horror, non puoi sperare in un "happy ending" ché tanto lo sai già che sarà tutta una merda, un grosso, enorme, oceano di melma senza senso. Non riesci a spiegartelo, non riesci a capacitarti di come cose così possano capitare, allora come oggi (in diversa misura e maniera, certo), eppure...
È un racconto disarmante, spietato nella sua lucidità e semplicità, popolato di immagini dolorose, strazianti. Indelebili.
Come il piccolo angelo in lacrime, impiccato perché non voleva parlare e, quindi, tradire un uomo.
Il violinista che dice addio alla vita suonando per l'ultima volta Beethoven.
I figli che picchiano o abbandonano i propri padri senza forze, considerati un peso, pur di sopravvivere.
Quegli uomini inermi, affamati, assetati, seminudi, al freddo, durante la "marcia della morte".
Insomma, una lettura, un viaggio in apnea, indispensabile. Sì.
Eliezer Wiesel nel 1986 ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace, oggi ha 84 anni, vive negli USA, insegna, scrive. Io fino a stamattina non sapevo nemmeno chi fosse, e un po' me ne vergogno. Leggendo La notte mi sono sentito piccolo piccolo.
Delle volte, però, bisogna anche rimanere ancorati alla realtà, e certi viaggi, per quanto devastanti essi possano essere, sono un dovere, sono necessari.
Leggere La notte è un viaggio nell'orrore, nella memoria di un sopravvissuto ai campi di concentramento.
È la storia di Eliezer Wiesel, un adolescente qualunque, della sua famiglia, e di tanti, troppi uomini.
È la storia di Sighet, una piccola cittadina della Transilvania, e dei suoi abitanti ebrei, della loro inconsapevolezza, della loro speranza. Erano stati avvisati, da un ebreo straniero scampato a un massacro, dell'orrore che si faceva sempre più vicino. Avrebbero forse avuto il tempo di scappare, ma non avevano voluto prenderlo sul serio, l'avevano scambiato per un matto.
O forse, più semplicemente, non osavano credere che il genere umano fosse capace di tanta atrocità.
Di certo non immaginavano i campi, le camere a gas, i fuochi, il fumo, le fosse, l'odore di morte, di putrefazione. La crudeltà di certi uomini in divisa.
Cosa si può dire di un libro così? Non so quanto si possa considerare bello, appassionante, un libro sull'olocausto. È storia vera, una testimonianza vissuta, non puoi rifugiarti dietro il pensiero "stai calmo, tanto è tutto finto!" che magari tieni bene a mente mentre vedi un film horror, non puoi sperare in un "happy ending" ché tanto lo sai già che sarà tutta una merda, un grosso, enorme, oceano di melma senza senso. Non riesci a spiegartelo, non riesci a capacitarti di come cose così possano capitare, allora come oggi (in diversa misura e maniera, certo), eppure...
È un racconto disarmante, spietato nella sua lucidità e semplicità, popolato di immagini dolorose, strazianti. Indelebili.
Come il piccolo angelo in lacrime, impiccato perché non voleva parlare e, quindi, tradire un uomo.
Il violinista che dice addio alla vita suonando per l'ultima volta Beethoven.
I figli che picchiano o abbandonano i propri padri senza forze, considerati un peso, pur di sopravvivere.
Quegli uomini inermi, affamati, assetati, seminudi, al freddo, durante la "marcia della morte".
Insomma, una lettura, un viaggio in apnea, indispensabile. Sì.
Eliezer Wiesel nel 1986 ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace, oggi ha 84 anni, vive negli USA, insegna, scrive. Io fino a stamattina non sapevo nemmeno chi fosse, e un po' me ne vergogno. Leggendo La notte mi sono sentito piccolo piccolo.
Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata.
Mai dimenticherò quel fumo.
Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto.
Mai dimenticherò quelle fiamme che consumarono per sempre la mia Fede.
Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l’eternità il desiderio di vivere.
Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i miei sogni, che presero il volto del deserto.
Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai.
Quando leggo testimonianze di questo tipo ho sempre un groppo alla gola e mi sembra di avere lo stomaco accartocciato. Non so mai bene cosa dire, mi sembra di usare sempre troppe parole, o parole sbagliate. Quindi aggiungo solo una cosa: hai fatto bene a scrivere questo post. Non dobbiamo dimenticare né questo, né gli altri massacri e genocidi che ci sono stati.
RispondiEliminaSolo sessant'anni fa.
RispondiEliminaBrividi.
:'*
Grazie... grazie per avere letto questo libro e per avere postato il tuo commento oggi. Per me è una cosa molto importante, perché è una cosa che è molto vicina a me. Grazie di cuore <3
RispondiEliminaE' brutto forse fare classifiche su libri che narrano l'Olocausto, ma... per me rimane il miglior libro scritto in merito.
RispondiEliminaFilosofia, oltre la narrazione della storia.
Come ti capisco. Io a volte mi sento piccola piccola di fronte a una semplice frase, figuriamoci di fronte a un libro così.
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