Copenaghen, 19 dicembre 2109
Il mare accanto alla statua della Sirenetta era plumbeo.
Alcune imbarcazioni a vela sostavano nel porto. Era quello che restava dell’antica marina, ora servivano solo ai turisti come scenario per le fotografie. Le navi e le case colorate erano rimaste, quale memoria della città passata.
Nelle acque ghiacciate per la temperatura polare le imbarcazioni erano incagliate in improbabili inclinazioni e avevano qualcosa di spettrale nella loro immobilità, quasi cadaveri di un’epoca in cui la Danimarca era stata grande potenza coloniale.
Quell’inverno era il terzo di fila in cui il mare gelava, ormai la capitale non era così differente dalla lontana Groenlandia. I cittadini si stringevano nei pesanti cappotti e salivano negli aerobus elettrici che la città si ostinava a volere, fedele alla sua tradizione centenaria di paese ecologico.
Il porto turistico era rimasto immutato nel tempo, le case dai tetti aguzzi, le facciate rosse, azzurre. I molti colori degli edifici rendevano ancora più stridente il contrasto con le acque scure, inquinate e ghiacciate. Così simili ai grattacieli che si ergevano alle spalle del mare e formavano la Copenaghen moderna, la parte della città dove pulsava la vita. Se qualcuno si fosse affacciato alla banchina avrebbe potuto scorgere, oltre la distesa immobile del mare, le sagome lunghe e minacciose delle petroliere norvegesi che si stagliavano nell’orizzonte. Ma in pochi passavano in quel luogo, per lo più qualche coraggioso turista, molto più interessato alla statua della Sirenetta che alla drammatica situazione energetica del paese scandinavo.
All’Adina Apartment Hotel, un albergo poco appariscente nei pressi del porto, uomini in giacca e cravatta, con auricolare di collegamento, vigilavano la sicurezza delle vie di accesso, incuranti del vento gelido.
Cinque berline scure attendevano davanti all’ingresso.
Arrivò una mercedes grigia, una donna bionda scese dalla vettura, e l’autista ripartì veloce seguendo le indicazioni degli addetti della security. Anche l’ultima ospite entrò nella hall.
Un cortese portinaio accompagnò l’elegante signora, sulla quarantina, in una sala sobria e arredata con gusto, dove c’era già chi l’attendeva.
Han Chan Mei, consulente scientifico privato del presidente della Repubblica Popolare Cinese le andò incontro porgendole la mano.
“Ben arrivata Mallory, posso chiamarla così?” Chiese la donna in un inglese dal leggerissimo accento orientale.
“Certo, Han Chan Mei, se mi consentirà lo stesso” rispose Mallory Fizgerald, ministro degli esteri degli Stati Uniti.
Altre donne l’attendevano sedute a un tavolo rotondo. Agenti in borghese stazionavano di guardia accanto alla porta e alle finestre.
“Grazie signori, potete uscire” Han Chan Mei, congedò con cortesia professionale gli uomini presenti.
La signora Monica Seidel, premier della Germania, fece un cenno e due energumeni biondi lasciarono la sala. Anche gli altri fecero lo stesso. I più riluttanti furono gli uomini vicini alla signora Mbada Sanyati, consulente personale del presidente dello Stato del Zimbabwue, che non parevano intenzionati a lasciarla. Solo dopo un rapido dialogo in ndebele si decisero a uscire.
“Yŏu, amiche mie, grazie per avere accettato il mio invito ed esservi trattenute un giorno in più nella fredda Copenaghen” esordì la cinese. Le altre fecero un cenno con il capo.
“Un invito così gentile non si può rifiutare” rispose Sonia Pratima, presidente della repubblica indiana ed esperta sociologa.
“Credo di interpretare il parere di tutte noi nel chiedere spiegazioni, è una richiesta insolita” aggiunse la donna dai lunghi capelli neri, vestita con un sari dai colori sgargianti.
“È presto detto, signore. La riservatezza, o meglio, la segretezza, sarà d’ora in poi fondamentale per l’esito della nostra missione. Era necessario parlarvi in privato, senza che nessuno, nemmeno il vostro staff, ne fosse a conoscenza. La riunione durerà esattamente mezz’ora da adesso, perciò vi chiedo di non interrompermi e di conservare per la fine le vostre domande. Sempre che ce ne siano”.
Gli occhi nerissimi di Han Chan Mei si posarono su ognuna delle sei donne sedute al tavolo e tutte fecero un cenno di assenso.
“La conferenza internazionale sul clima si è conclusa. Anche questa volta è stata un’inutile perdita di tempo e di denaro. Se volessimo essere pedanti, visti i mezzi di trasporto utilizzati da tutti i delegati e dalle loro scorte, si potrebbe sostenere che il summit ha provocato molte più emissioni in atmosfera di idrocarburi di quelle che si combatteranno con gli accordi stipulati. Avevano un bel dimostrare ieri, gli ambientalisti del corteo che hanno sfilato per ribadire il loro sdegno alla fine della conferenza. Ma anche loro, per quanto abbiano protestato, non sono stati ascoltati né lo saranno in futuro. Le loro richieste erano legittime: impegni seri, scelte coraggiose, al di là delle logiche nazionali. Nessuno ha voluto sentire o capire che non c’è più tempo da perdere. Voi, tra tutti i leaders presenti, siete le persone più sensibili ai problemi del nostro pianeta. Sapete bene che quanto disse Al Gore il secolo scorso è la verità. Nell’arco dei prossimi vent’anni dobbiamo invertire la tendenza degli ultimi due secoli. Non c’è più tempo, è venuto il momento di agire con fermezza. Io ho trovato la soluzione, l’unica percorribile. Ora vi spiegherò come intendo salvare il nostro mondo. Richiederà sacrifici da parte di tutte, e non sarà indolore. Perciò, prima di andare avanti, vi devo avvisare: dopo che mi avrete udita non potrete più tirarvi indietro. Se qualcuna di voi non se la sente, può uscire”.
Nessuna si mosse dalla propria sedia.
Han Chan Mei sorrise e iniziò a parlare.
Parlò esattamente venti minuti, durante i quali le altre componenti della riunione sbiancarono, risero, arrossirono di rabbia, si innervosirono. Nessuna l’interruppe, attendendo la conclusione e quando la Cinese, esposte le sue idee, tacque, seguì un lungo silenzio.
Monica Seidel parlò per prima.
“Saremo in grado di garantire comunque la continuità della specie?”
“Sì, ne lasceremo in vita una percentuale selezionata in base al DNA. Esiste una tecnica di clonazione che sto sperimentando in questi giorni” spiegò Mei.
“Come faremo con i figli maschi?” chiese Natalja Kurikova, ministro russo dell’energia. “Nessuna madre li rinnegherà”.
Gli occhi azzurrissimi della donna bionda erano fissi su Mei mentre la sua espressione era preoccupata.
“Di questo non ne sarei così sicura, per evitare ogni problema faremo in modo di estirparlo alla radice” rispose semplicemente la Cinese.
“Pensa di riuscire a ucciderli tutti in così poco tempo?” chiese la signora indiana preoccupata.
“Non in una volta, ovviamente, semplicemente non nasceranno più. Agiremo sulla genetica e nell’arco di ottant’anni il problema sarà risolto.”
“E se le madri non volessero?” chiese di nuovo la russa.
“La tossina che immetteremo nell’aria non lascerà loro alcuna scelta: nasceranno solo femmine.” Chiarì Mei.“Sono tre anni che lavoro a questo preparato. Senza scendere nei dettagli, posso dirvi che intacca il DNA e riconosce il cromosoma Y, portando a una rapida degenerazione dell’organismo. Le donne che inspireranno la tossina non ne soffriranno. Il preparato resterà nell’aria per quindici anni e impedirà la nascita di neonati dal cromosoma Y”.
La signora Mbada storse la bocca.
“Mi pare una crudeltà eccessiva”.
“Sarà il primo periodo, poi l’atmosfera si libererà della tossina e potremo far nascere nuovamente dei maschi i cui bagagli genetici siano rilevanti”.
“Ci impiegheremo molto tempo, nell’arco di ottanta anni moriremo anche noi” considerò l’indiana con amarezza.
“È vero, ma non facciamo tutto questo per noi stesse, lo facciamo per il futuro dell’Umanità. Ci serve tempo per organizzare bene la propaganda e ricostruire la società. Prima di tutto daremo ai maschi un gioco a cui non potranno rinunciare e con il quale ci liberemo di una buona parte.”
“Un gioco?” chiese Mallory perplessa.
“Sono dei bambini e come tali li tratteremo. Cos’è che desiderano più di ogni altra cosa?”
“Lottare” rispose senza esitazione la signora Mbada.
Tutte annuirono.
“Esatto. Daremo loro una guerra mondiale e ci accerteremo che muoiano in tanti, i più violenti”.
“E le persone innocenti che dovessero morire a seguito del conflitto?” chiese la donna maori.
Era Naori Zavi, primo ministro della Nuova Zelanda e parlava per la prima volta.
“Perché? I maschi sono forse colpevoli di appartenere al loro genere?” Rise amara la Russa, aggrottando le sopracciglia.
“In effetti con una guerra di tre-cinque anni, fatta alla vecchia maniera, guadagneremo molto tempo” considerò con cinismo la signora Seidel. “Naturalmente poi dovremo essere noi a dettare le condizioni”.
“Dopo un conflitto è più semplice costruire un nuovo assetto sociale. Quello che dovremo costruire noi sarà grandioso, perciò la guerra dovrà essere devastante e coinvolgere molte nazioni” precisò la cinese.
“Quale pretesto pensa di utilizzare per far scoppiare il conflitto?” chiese Pratima.
“Un sistema antico e sempre valido: assassinando uno dei loro leader più carismatici” rispose Han Chan Mei.
“Chi?” chiese la Russa.
Gli occhi delle donne seguivano lo sguardo che Mei rivolse alla signora Mallory.
L’americana impallidì.
“Lui?” domandò quest’ultima.
“Non solo, anche il suo attuale vice” spiegò Mei. “Te la senti? Dovrai portare dalla nostra parte anche la moglie. Dovrà essere lei a mandarli in guerra. Apparirai contraria, così alla fine sarà a te che tutti guarderanno come guida”.
Mallory sostenne il suo sguardo, inspirò e fece un cenno affermativo con la testa, senza parlare.
Han Chan Mei sollevò la ventiquattrore posata accanto alla sedia e la dischiuse.
“Il seme è stato gettato. Non ci vedremo più fino alla fine del nostro piano. Ricordate le tappe che vi ho illustrato. Tra sette anni, a partire da oggi, saremo le leader di un nuovo mondo”.
Estrasse dei telefoni e li consegnò a ognuna.
“Per comunicare useremo solo questi apparecchi, le loro chiamate transitano esclusivamente attraverso un satellite che sta per essere lanciato a momenti”.
Guardò di nuovo l’orologio.
“Proprio adesso. Domani potrete accenderlo, funziona a energia solare. Ci sentiremo sempre il lunedì. I telefoni funzionano solo, ed esclusivamente, se sono tutti e sette accesi. Vi chiamerò alle ore 12.00 di Greenwick. Ricordate sempre che la nostra missione è far rinascere questo pianeta, dargli un nuovo volto, un nuovo assetto e ci riusciremo. La Terra dovrà tornare a essere Gaia, la madre terra. Arrivederci yŏu, amiche mie, e buon lavoro”.
Detto questo si alzarono tutte insieme e uscirono in silenzio.
Mi sembra molto interessante, sia dalla trama che dall'estratto mi ha incuriosita ^^
RispondiEliminaNon avevo mai sentito parlare di questo libro!!! Sembra promettente!!=) Non vedo l'ora di saperne di più!!!^^
RispondiEliminaMatteo ma che bella idea, bisogna sempre sostenere i nostri autori italiani, soprattutto quando hanno idee così originali e intriganti come Claudia Tonin. Non avevo mai sentito parlare di questo libro, ma mi ha incuriosita e sono curiosa di vedere gli altri speciali che dedicherai a "Le cronache di Gaia".
RispondiEliminaLa penso esattamente con Alessia, ma avevo già adocchiato questo romanzo nella CLOCK REWINDERS a causa della cover assolutamente bella ma che non avevo mai visto. Mi sono informata ed è piaciuto anche a me!
RispondiEliminami sembra molto interessante gli darò un'occhiata
RispondiEliminanon conoscevo questo libro,i l prologo mi ha fatto venire i brividi veramente!!!! una società femminile programmata a tavolino, come stanno le cose non so quanto sia lontano dalla realtà. mi incuriosisce molto, continuerò a seguire gli speciali. grazie per aver scovato questa autrice e il suo libro
RispondiEliminaSono d'accordo con Alessia, è giusto sostenere i nuovi autori italiani! La trama sembra interessante, anche se mi ricorda un po' (a grandi linee) quella di "Perfetto" con queste donne che comandano tutto! Resto in attesa di ulteriori informazioni.
RispondiEliminaUn nuovo speciale! Che meraviglia :D
RispondiEliminaSono curiosa di vedere i post che pubblicherai.
Il prologo, come ha già scritto qualcuno più su, è piuttosto inquietante.
*.* Quante cose interessanti mi fai scoprire!
RispondiEliminaDevo saperne assolutamente di più, ma questa trilogia ha già un pezzo del mio cuore.
p.s. Ti dico solo che ho iniziato a tormentare le altre Belle, sommergendole di "Me vuole". ;)
EliminaGrazie Matteo per lo speciale che dedichi a Pearls, sei gentilissimo!
RispondiEliminaGrazie a tutte per i commenti! Anche io sono curiosa di scoprire come proseguirà domani lo speciale... :)
Aggiungo solo, visto che più di qualcuna ha apprezzato la copertina, che la cover è stata realizzata da Solange Mela che, oltre a essere una brava pittrice, è anche il mio editore ^^