venerdì 8 marzo 2013

«È la passione, Mr Stoner», disse allegro Sloane, «la passione che c’è in lei. Nient’altro». (Gli incubi dei pesci rossi #8)



Gli incubi dei pesci rossi è una rubrica della mia amica 21 grammi, in cui troverete i suoi "farfugliamenti, le cose personali, le improvvisazioni imperfette e sbavate", insomma... commenti e pensieri di pancia, quello che le viene dal di dentro durante o dopo le sue letture. Le ho dato carta bianca, e lascio a lei la parola...
- Matteo

Stoner
Autore: John Williams
Traduttore: Stefano Tummolini
Editore: Fazi (collana Le strade)
Data di uscita: 23 febbraio 2012
Pagine: 332
Prezzo: 17.50 €
Stoner è il racconto della vita di un uomo tra gli anni Dieci e gli anni Cinquanta del Novecento: William Stoner, figlio di contadini, che si affranca quasi suo malgrado dal destino di massacrante lavoro nei campi che lo attende, coltiva la passione per gli studi letterari e diventa docente universitario. Si sposa, ha una figlia, affronta varie vicissitudini professionali e sentimentali, si ammala, muore. È un eroe della normalità che negli ingranaggi di una vita minima riesce ad attingere il senso del lavoro, dell’amore, della passione che dà forma a un’esistenza.
"Come si fa a vivere un vita piena di niente?"
Qualche settimana fa ho guardato Il segreto dei suoi occhi: c’è questa battuta, forte e...  che ti inchioda, e ti porta a riflettere sulla tua vita, quando viene pronunciata.
Questa stessa battuta si è ripetuta incessantemente, in me, per tutta la prima parte del libro; quando la vita di Stoner viene snocciolata per quella di un anonimo professore che non ha altro interesse se non la letteratura, che non è animato da ideali politici, i cui amici si contano sui petali di quei fiori che quando soffi si disfano. Un uomo che sembra spento alla vita.
Eppure.
Avete presente quei documentari sugli abissi marini, quando viene inquadrato il fondale sabbioso, e a un certo punto, da una zona in cui non sembrava esserci nulla, spunta un pesce rombo che prende vita e si agita, muovendosi in maniera elegante per scrollarsi di dosso la sabbia? Ecco, quel pesce è Stoner.
Perché è vero, Stoner non contiene né provoca grossi turbamenti, grosse lacerazioni, grossi dissidi interiori; come un pesce vive nel suo mondo ovattato, conduce la sua vita apparentemente tranquilla, non ci alimenta né ci infuoca... ma all'improvviso si agita, fa un guizzo, si soffia la polvere di dosso.
E avete presente quel fondale, la cui sabbia, dopo essere stata mossa, torna ad acquietarsi? I granelli tornano giù, tutti; il fondale torna omogeneo. Ma è davvero lo stesso di prima? I granelli sono quelli, gli stessi,  però... non hanno più la disposizione di prima. 
Si sono spostati, seppur solo di qualche centimetro, creando un nuovo – vecchio – fondale.
Ecco, quel fondale siete voi, dopo la lettura di questo libro.
Tutto sembra uguale a prima, eppure nulla è uguale a prima. 
«Ma non capisce, Mr Stoner?», domandò: «Non ha ancora capito? Lei sarà un insegnante».
All'improvviso gli sembrò che Sloane si stesse allontanando, insieme alle mura dell'ufficio. Si sentì sospeso nell'aria aperta, mentre la sua voce diceva: «È sicuro?».
«Ma certo», disse dolcemente Sloane.
«Come può dirlo? Come fa a saperlo?».
«È la passione, Mr Stoner», disse allegro Sloane, «la passione che c’è in lei. Nient’altro». 
Il colore che predomina in questo romanzo è il grigio. Grigio è Stoner, grigia è la sua vita. Anche dalle recensioni lette in giro sembra che sia così, la vita apatica di un docente a cui non succede nulla…
Eppure.
Avete presente che non tutti i grigi sono uguali? C'è il grigio piatto, noioso, apatico, e c'è il grigio gravido, speranzoso, quello da cui possono originare cose… no, forse la metafora non calza molto. E allora facciamo che il grigio-Stoner è un grigio cangiante, che cambia sfumatura a seconda di chi lo legge. Il grigio-Stoner può essere apprezzato solo da chi lo guarda con occhi non giudicanti, non additanti.
Per me è stato un grigio tendente al bianco. Tendente alla luce. La luce che attraversa un prisma e proietta l'arcobaleno, come nel disco dei Pink Floyd.

Io l'ho visto, l'arcobaleno, nella vita di Stoner. Era nella terra che coltivava da ragazzino, nelle pagine dei libri che sfogliava da adolescente, nella sbilenca amicizia con due colleghi, nell'eco delle sue parole nelle aule colme di studenti, nella passione per l'insegnamento, nella quieta sopportazione di un matrimonio infelice, negli occhi di sua figlia, nel coraggio di non piegarsi ai compromessi, nell'amarezza della speranza disattesa. In Katherine. 
Una sera, mentre si avvicinava la fine del loro soggiorno, Katherine disse tranquilla, quasi con tono assente: «Bill, se non avremo nient'altro, avremo avuto questa settimana. È un pensiero molto infantile?».
«Non importa se è infantile o no», disse Stoner. Poi annuì: «È vero». «Allora lo dirò», concluse Katherine. «Avremo avuto questa settimana».
Durante la lettura mi hanno accompagnato sensazioni già sperimentate in altri romanzi: penso a Un uomo solo di Isherwood, per il senso di solitudine che aleggia tra le righe; penso a Drogo de Il deserto dei Tartari buzzatiano, per l’attesa, l’illusione, che ci sia qualcosa in più. Penso al Baldwin di Dimmi da quanto è partito il treno, che ho ritrovato nei dialoghi tra Stoner e Katherine - ma io Baldwin lo ritrovo un po' in ogni dove, quindi su quest'ultimo parallelismo non fateci troppo affidamento.

E se la sua è stata una vita piena di niente, beh, la voglio anche io così piena di niente. 
«[...] Certe volte penso a quello che mi sono perso, ai posti in cui non sono stato e… diavolo, Bill, la vita è troppo corta. Perché non te ne vai anche tu? Pensa a tutto il tempo che…».
«Non saprei cosa farmene», disse Stoner. «Non ho mai imparato».

2 commenti:

  1. Avevo già sentito parlare di questo libro, sempre in termini positivi, ma credo che questo sia il commento più sentito che ho letto, per ora :)

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  2. Concordo con Camilla! Un commento splendido :)

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