mercoledì 27 febbraio 2013

Recensione: "Warm Bodies" di Isaac Marion



Warm Bodies
Autore: Isaac Marion
Traduttrice: Tiziana Lo Porto
Editore: Fazi (collana Lain)
Data di uscita: 27 ottobre 2011
Pagine: 269
Prezzo: cartaceo 14,50 €, e-book 1,99 €

R è uno zombie in piena crisi esistenziale. Cammina per un'America distrutta dalla guerra, segnata dal caos e dalla fame dissennata dei morti viventi. R, però, è ancora capace di desiderare, non gli bastano solo cervelli da mangiare e sangue da bere. Non ha ricordi né identità, non gli batte più il cuore e non sente il sapore dei cibi, la sua capacità di comunicare col mondo è ridotta a poche, stentate sillabe, eppure dentro di lui sopravvive un intero universo di emozioni. Un universo pieno di meraviglia e nostalgia. Un giorno, dopo aver divorato il cervello di un ragazzo, R compie una scelta inaspettata: intreccia una strana ma dolce relazione con la ragazza della sua vittima, Julie. Un evento mai accaduto prima, che sovverte le regole e va contro ogni logica. Vuole respirare, vuole vivere di nuovo, e Julie vuole aiutarlo. Il loro mondo però, grigio e in decomposizione, non cambierà senza prima uno scontro durissimo con...

Mi fa sorridere che ciò che un po' mi "preoccupava" riguardo questo libro, ovvero l'idea di uno zombie pensante che torna (in un certo senso) alla vita grazie alla potenza dell'amore, si sia rivelato in realtà il suo punto di forza. Sì, perché è proprio sull'originalità della storia e della figura di R che si regge l'intero romanzo.
Sono cresciuto a pane e film horror, e gli zombie che preferisco sono quelli "classici", dalla camminata lenta e ciondolante, non pensanti, affamati di carne fresca. Allo stesso tempo, però, devo anche confessare che non sono uno di quei tradizionalisti un po' schizzinosi che storcono la bocca quando si trovano di fronte alle reinterpretazioni, anzi sono particolarmente interessato alle storie che cercano di modificare quello è che l'immaginario comune riguardo determinate creature sovrannaturali.
cover originale
Nei confronti di Warm Bodies nutrivo una sorta di lieve titubanza (ma anche mooolta curiosità, eh!), più volte mi son chiesto quanto potesse risultare plausibile un personaggio del genere. E invece, con stupore, devo ammettere che l'autore è riuscito a rendere credibile ciò che fino a poco tempo fa consideravo impensabile, anche grazie all'espediente del cervello mangiato che trasmette allo zombie sprazzi di ricordi, pensieri, vita passata della persona uccisa. Quest'idea dello zombie che mangia cervelli per aggrapparsi alla vita altrui, per vivere una sorta di vita surrogata che a lui, in quanto morto, è venuta a mancare, l'ho apprezzata molto, l'ho trovata romantica e anche un po' struggente.
Il protagonista e voce narrante della storia, che ricorda solo la lettera iniziale del proprio nome, è davvero favoloso. È praticamente impossibile non adorare R, la sua dolcezza e tenerezza, i suoi "discorsi" biascicati e i problemi di dizione, la forza d'animo e la voglia d'amore con le quali cerca di modificare la sua natura.
E poi mi ha fatto proprio piacere leggere un romanzo destinato a un pubblico young-adult con protagonista maschile (cosa che mi pare rara negli YA che arrivano in Italia - o forse sono ignorante io che ne conosco pochi?!) e soprattutto che fosse lui quello completamente cotto mentre il personaggio femminile quello da avvicinare, "convincere" riguardo questa storia d'amore assurda ma possibile, e non viceversa (cosa stra-abusata).
Insomma, tanti elogi, tanti aspetti positivi. E allora vi verrà sicuramente spontanea la domanda: "perché quindi questo voto basso, cosa ti ha deluso?". Be', il problema principale è che mi ha coinvolto poco, o meglio, in modo piuttosto ballerino. Ho trovato geniali e divertenti l'incipit (Sono morto, ma non è poi così male.) e i primi capitoli,  però poi ci sono state delle parti che ho trovato estremamente lente e altre che mi sono parse un po' confusionarie e assurde (ad esempio quando R sente la voce collettiva delle persone che ha divorato, o quando si mette a dialogare con Perry - voglio dire, capisco che mangiando il suo cervello R possa assaporarne anche i ricordi, e che quindi qualcosa nella sua coscienza si smuova e gli faccia provare un certo interesse nei confronti della ragazza di Perry, ma da qui a farli conversare nella sua mente ce ne vuole!).
È stato davvero un peccato, perché la lettura procedeva bene, mi interessava, coinvolgeva, ma poi purtroppo... l'abisso. A me piace farmi trascinare e catturare dai libri, adoro quando sto facendo altro e la mente mi torna sempre alle pagine che ho lasciato sul comodino ad aspettarmi. Invece questo a un certo punto ho iniziato a leggerlo proprio con fatica, controvoglia, lo lasciavo per giorni a prender polvere senza nemmeno aprirlo, sbuffavo quando lo vedevo... Alla fine, comunque, ha vinto la curiosità di sapere come si sarebbe concluso, e son contento di aver terminato la lettura, anche perché a una settantina di pagine dalla fine riprende il ritmo iniziale e scorre via che è una meraviglia.
Quindi... be', che dire... mi aspettavo molto ma molto di più, anche perché avevo letto una marea di pareri positivi e avevo pure escogitato un modo un po' subdolo per averne una copia (vi ricordate?). È una sorta di favola moderna, non troppo riuscita, carina da leggere, ma... niente di particolare, senza infamia e senza lode.

Tre stelle teschi!
Avevo aspettative altissime, ma mi ha un po' deluso.
Lettura carina, ma niente di eccezionale!


Le città per le quali vaghiamo sono talmente dei ruderi che mi sa che il mondo è quasi arrivato al capolinea. I palazzi sono crollati. Le strade sono intasate di macchine arrugginite. I vetri sono quasi tutti rotti e il vento che soffia dentro i grattacieli geme come un animale in agonia. E mica lo so cos’è successo. Malattia? Guerra? Collasso sociale? O siamo stati solo noi? I Morti stanno rimpiazzando i Vivi? Non credo sia poi così importante. Quando arrivi alla fine del mondo, non importa che strada prendi.

Warm Bodies
#0.5 The New Hunger, 2013 (The New Hunger, 2013)
#1 Warm Bodies, 2010 (Warm Bodies, 2011)
#2 (titolo ancora sconosciuto), 2014

martedì 26 febbraio 2013

Teaser Tuesdays #39



Teaser Tuesdays  è una rubrica ideata dal blog Should Be Reading. Consiste nel prendere il libro che si sta leggendo, aprirlo in una pagina a caso e condividere un passo tratto da quella pagina. Io, però, ho deciso di non seguire la regola della "pagina a caso", ma sceglierò la citazione personalmente (senza fare spoilers, promesso!).

Buon pomeriggio a tutti! Vi lascio il teaser di oggi, da uno dei due bellissimi libri che sto leggendo in questi giorni...
D’allora in poi, quando si vedeva il ragazzo sugli alberi, s’era certi che guardando giù innanzi a lui, o appresso, si vedeva il bassotto Ottimo Massimo trotterellare pancia a terra. Gli aveva insegnato la cerca, la ferma, il riporto: i lavori di tutte le specie di cani da caccia, e non c’era bestia del bosco che non cacciassero insieme. Per riportargli la selvaggina, Ottimo Massimo rampava con due zampe sui tronchi più in su che poteva; Cosimo calava a prendere la lepre o la starna dalla sua bocca e gli faceva una carezza. Erano tutte là le loro confidenze, le loro feste. Ma continuo tra la terra e i rami correva dall’uno all’altro un dialogo, un’intelligenza, d’abbai monosillabi e di schiocchi di lingua e dita. Quella necessaria presenza che per il cane è l’uomo e per l’uomo è il cane, non li tradiva mai, né l’uno né l’altro; e per quanto diversi da tutti gli uomini e cani del mondo, potevan dirsi, come uomo e cane, felici.

[da Il barone rampante di Italo Calvino, pag. 93]
Voi cosa leggete? Se volete partecipare, lasciate il vostro teaser nei commenti! :)

lunedì 25 febbraio 2013

Clock Rewinders #39


Clock Rewinders è un appuntamento settimanale che prende spunto dalla rubrica Clock Rewinders on a Book Binge (ideata dai blog On a Book Bender e 25 Hour Books). È praticamente una sorta di "riassunto" della settimana appena trascorsa. Vi troverete, quindi, cos'è accaduto di interessante sul mio blog e su quelli altrui, le mie ultime letture, gli acquisti più recenti e altro che deciderò di volta in volta.

[Scusatemi per la poca presenza in questi giorni, ma sto preparando due esami... spero di potermi rifare nei prossimi giorni!]

la scorsa settimana su storie dentro storie ]
la scorsa settimana nella blogosfera ]
  • AlessiaGiuls e Denise hanno ideato una bellissima iniziativa: "Refresh Your Review" Reading Challenge!
  • Quattro belle recensioni che vi consiglio di leggere:
    #1 Colpa delle stelle di John Green (scritta da Giovanna)
    #2 The New Hunger di Isaac Marion (scritta da Violet KnightFall)
    #3 Boy A di Jonathan Trigell (scritta da Serena)
    #4 Noi siamo infinito di Stephen Chbosky (scritta da Ronnie)
le mie letture ]

letture in corso
 

canzone della settimana ]

giovedì 21 febbraio 2013

Recensione: "Il messaggero" di Lois Lowry




Il messaggero
Titolo originale: Messenger
Autrice: Lois Lowry
Traduttrice: Sara Congregati
Editore: Giunti (collana Y)
Data di uscita: 8 febbraio 2012
Pagine: 207
Prezzo: cartaceo 14.50 €, e-book 8.99 €

Quando Matty è arrivato al Villaggio sei anni prima era un ragazzino inquieto e ribelle che amava definirsi "la Belva fra le Belve". Ora è cresciuto sotto la guida del cieco Veggente ed è pronto per l'assegnazione del suo vero nome: "Messaggero". Ma qualcosa nel Villaggio sta cambiando: da quando al mercato si barattano i sentimenti con effimeri beni materiali, la comunità è diventata improvvisamente ottusa e caparbia. La società utopica che un tempo amava accogliere tutti i rifugiati e i derelitti sta innalzando un muro di isolamento. Matty è uno dei pochi capaci di districarsi nel fitto della Foresta e il suo compito ora è quello di portare il messaggio del drastico cambiamento ai paesi vicini e convincere Kira, la figlia del veggente, a tornare con lui al Villaggio, prima che sia troppo tardi. Ma la Foresta, che gli è sempre stata amica, si è rivoltata contro di lui, animata da una forza oscura e senziente, e Matty si trova a fronteggiare il pericolo armato solo di un nuovo potere che ancora non riesce completamente a gestire e a comprendere.

Dopo sette mesi dalla lettura di Gathering Blue, sono finalmente tornato a leggere la Lowry. Non è stato facile aspettare per tutto questo tempo. La curiosità di sapere in che modo sarebbe andata avanti la storia di Jonas, Kira e Matt, e quale nuova società l'autrice mi avrebbe messo di fronte, non lo nego, è stata enorme. Però ho voluto pazientare, ho preferito attendere l'uscita de Il figlio, il gran finale, per poter leggere i due romanzi conclusivi di The Giver Quartet uno di seguito all'altro. (Vi sembra una scelta masochistica? Ehm... effettivamente non avete tutti i torti.)

La lettura dei primi due capitoli, seppur scollegati fra loro ed entrambi con finale aperto, mi aveva soddisfatto, dato spunti di riflessione, lasciato appagato, ma è stato un piacere immenso trovare ne Il messaggero il perfetto collegamento tra i primi due volumi.
In The Giver ho conosciuto Jonas e il suo mondo pseudo-perfetto, uniformato, senza differenze tra le persone, senza stagioni, colori, amore, emozioni, ma che sotto l'aura di perfezione nasconde segreti impensabili e atroci verità.
In Gathering Blue, invece, non c'è nulla di perfetto. La società in cui vive Kira, la protagonista, ha istinti primordiali, egoistici, i malati sono abbandonati a se stessi, lasciati a morire senza speranza.
Entrambi, alla fine, decidono di fare qualcosa contro il marcio che attanaglia le loro società: Jonas abbandona il suo popolo, convinto che solo così potrà dargli la scossa di cui ha bisogno per il cambiamento; Kira, al contrario, sceglie di rimanere, per controllare - attraverso il dono di vedere il futuro nei suoi ricami - che venga scelto il giusto avvenire per la sua comunità.

Sono passati diversi anni, Jonas è cresciuto ed è il Capo del Villaggio, un'ulteriore società. Vi regnano l'altruismo, l'accoglienza, la generosità, non c'è discriminazione di nessun tipo, i malati vengono accolti e curati, gli ignoranti vengono istruiti. C'è armonia, disponibilità verso gli altri, tranquillità, non si dà peso alle differenze altrui.
Qui abitano anche Matty e il cieco Veggente, ovvero il piccolo amico di Kira e il padre della ragazza. Vivono una vita semplice, senza eccessi. Le giornate scorrono serenamente, come sempre negli ultimi anni. Eppure presto Matty si renderà conto che qualcosa nella popolazione sta cambiando, per colpa del Mercato del Baratto. La gente non è più contenta di ciò che ha, vuole sempre di più, inizia ad essere disposta a tutto, anche a sacrificare parti di sé, sentimenti, qualità, pur di avere ciò che desidera. Pian piano l'egoismo, l'avidità, l'ambizione, la crudeltà, la mancanza di scrupoli iniziano a farsi strada e a minare la serenità del posto, tant'è che si decide anche di chiudere il Villaggio ai forestieri. A Matty quindi verrà affidato il compito di portare il messaggio della chiusura ai villaggi limitrofi e di convincere Kira a raggiungere suo padre prima che sia troppo tardi.

Devo ammettere che, nonostante mi abbia coinvolto emotivamente meno rispetto ai precedenti, anche stavolta Lois Lowry è riuscita a stupirmi. Ho davvero apprezzato la maestria con la quale ha saputo unire la storia e quindi i destini dei personaggi che mi avevano accompagnato ed emozionato. Ritrovarli cresciuti, forti, consapevoli del proprio fondamentale compito ma allo stesso tempo determinati a rimanere loro stessi, senza farsi sopraffare dall'egoismo, è stato bello, gratificante.
La scrittura della Lowry, semplice e diretta, scorre via velocemente, senza intoppi, e sa essere pacata e delicata anche nei momenti più duri e amari. Al lettore viene naturale immergersi completamente nella storia, farsi trascinare dagli eventi e attendere il finale con la speranza nel cuore.
Pur essendo destinata ad un pubblico giovane, a me questa serie sta donando belle emozioni, e anche numerosi spunti di riflessione.
C'è tanto, in questo libro (ma anche nella serie in generale), c'è l'accettazione di se stessi (bellissima ad esempio la contrapposizione tra la gente del Villaggio, che baratta la propria integrità pur di accontentare i propri capricci, e Kira, che rifiuta un'offerta di guarigione - è zoppa - per rimanere se stessa, anche se "difettosa", perché «Questa è quella che sono, Matty. Quella che sono sempre stata.»), la voglia e la forza di cambiare le cose, l'importanza della collaborazione e del dialogo, il sacrificio del singolo per il bene della comunità. Insomma, un romanzo nient'affatto banale, che vale la pena di essere letto e consigliato.
Mi ha lasciato però un lieve amaro in bocca: avrei preferito un maggior approfondimento, saperne di più su quanto successo a Jonas e a Kira, e alle società che hanno cambiato, nell'arco di tempo che non viene narrato all'interno del romanzo. Alcune cose rimangono in sospeso, e spero proprio che la lettura de Il figlio mi chiarisca qualche dubbio e concluda al meglio la serie.

Tre stelle e mezzo!
Una lettura piacevole e
ricca di spunti di riflessione!


[...] sapeva che ovunque c’erano comunità, sparse per il vasto territorio del mondo conosciuto, dove la gente soffriva, non sempre per via delle botte e della fame, come nel suo caso, ma per via dell’ignoranza. Del non sapere. Dell’esclusione dalla conoscenza.

The Giver Quartet
#1 The Giver, 1993 (The Giver - Il donatore, 2010)
#2 Gathering Blue, 2000 (La rivincita - Gathering Blue, 2011)
#3 Messenger, 2004 (Il messaggero - Messenger, 2012)
#4 Son, 2012 (Il figlio, 2013)

martedì 19 febbraio 2013

Teaser Tuesdays #38



Teaser Tuesdays  è una rubrica ideata dal blog Should Be Reading. Consiste nel prendere il libro che si sta leggendo, aprirlo in una pagina a caso e condividere un passo tratto da quella pagina. Io, però, ho deciso di non seguire la regola della "pagina a caso", ma sceglierò la citazione personalmente (senza fare spoilers, promesso!).

Buona sera a tutti! Ecco il teaser di oggi:
Dai, adesso è il tuo turno, mi ha sollecitato Amichai. Ho guardato il biglietto e mi sono consolato pensando che almeno non dovevo leggerli tutti e tre.
Ai prossimi Mondiali voglio stare ancora con Yaara, ho letto con voce fievole.
Come previsto, mi hanno assalito tutti.
Ma dai, insomma, se 'sta Yaara nemmeno esiste, ha commentato Ofir.
Finché non la vedremo questo desiderio non sarà valido, ha aggiunto Churchill come sua opinione legale.
Secondo me è brutta, mi sa che se la tiene nascosta perché è un cesso, ha detto Ofir guardandomi per vedere se reagivo.
Strabica di sicuro, ha aggiunto Amichai.
Con il culo grosso come una portaerei.
Le tette che le arrivano alle ginocchia.
Le spalle da giocatore di football.
Tanto è un uomo che ha fatto un'operazione e ha cambiato sesso. Prima si chiamava Yaar.
Vabbè, vabbè, mi sono arreso. Martedì siete tutti invitati da me per conoscerla.

[da La simmetria dei desideri di Eshkol Nevo, pag. 22-23]
Voi cosa state leggendo?
Fatemi sapere lasciando il vostro teaser nei commenti, sono curioso!
Buone letture!

lunedì 18 febbraio 2013

Clock Rewinders #38


Clock Rewinders è un appuntamento settimanale che prende spunto dalla rubrica Clock Rewinders on a Book Binge (ideata dai blog On a Book Bender e 25 Hour Books). È praticamente una sorta di "riassunto" della settimana appena trascorsa. Vi troverete, quindi, cos'è accaduto di interessante sul mio blog e su quelli altrui, le mie ultime letture, gli acquisti più recenti e altro che deciderò di volta in volta.

la scorsa settimana su storie dentro storie ]
la scorsa settimana nella blogosfera ]
  • Volete provare a vincere dei libri?! Ci sono ben due nuovi giftaway in corso: #1 Il sogno della bella addormentata di Luca Centi (sul blog di Diletta) - #2 Switched di Amanda Hocking (sul blog di Silvia).
  • Alessia, Sonia, Amaranth, Alaisse, Silvia, Stefania, Rosy e Monia hanno aperto un blog letterario tutto dedicato agli autori italiani!
  • Tre belle recensioni che vi consiglio di leggere:
    #1 Esche vive di Fabio Genovesi (scritta da Federica)
    #2 I ricordi non si lavano di Aurora Frola (scritta da Alessia)
    #3 Buona fortuna di Barbara Fiorio (scritta da Lucrezia)
  • Juliette ci ha aggiornato (con notizie non troppo entusiasmanti, ahimè!) sulla serie tv tratta da Delirium di Lauren Oliver!
le mie letture ]

letture terminate


le mie prossime letture
 
Non li ho ancora iniziati, ma lo farò tra stasera e domani. La simmetria dei desideri, come forse vi ricorderete, l'avevo già iniziato lo scorso novembre, mi stava piacendo molto, ma lo leggevo a rilento, ero in un periodo di blocco, non riuscivo a concentrarmi, insomma... alla fine l'ho abbandonato. Voglio riprovarci! Il barone rampante, invece, sarà il mio classico di febbraio. Ho già letto gli altri due della trilogia I nostri antenati di Calvino e li ho adorati. Spero sarò lo stesso anche per questo!

new entry in my library ]


Oltre il buio di Alberto Petrosino
(vinto tramite un giveaway! *_*)

canzone della settimana ]

venerdì 15 febbraio 2013

Speciale "Storie dentro storie": tappa #1 (presentazione + estratto + giftaway)


Salve a tutti!

Oggi inizia lo speciale dedicato a Storie dentro storie,
romanzo scritto da Giovanna Astori.

Fermi lì! Lo so che state pensando "ma questo c'ha preso gusto a fa' 'sti speciali!". Be', c'avete ragione! È proprio così.
Però scusate, ho scoperto questo romanzo per puro caso su Facebook, ha lo stesso titolo del mio blog, e sia io che l'autrice del libro abbiamo preso ispirazione dalla stessa canzone, ditemi voi come potevo non scrivere qualcosa a riguardo!

Visto che trovo questa coincidenza davvero particolare, curiosa e intrigante, ho deciso di preparare uno speciale in tre parti per farvi conoscere meglio SdS!

Nel post di oggi potrete ascoltare la bellissima canzone di cui vi ho accennato, conoscere il romanzo, leggerne un estratto e in più tentare la fortuna per vincerne una copia!

Buon ascolto e buona lettura!



Storie dentro storie di Giovanna Astori
Editore: L'Erudita (collana L'urgente)
Data di uscita: novembre 2012
Pagine: 140
Prezzo: 13 €
L'autobus è un luogo di mezzo, dove si possono fare conoscenze estemporanee che rimangono appese al filo del destino. Così sarà per Mia e Victor, le cui vite si incrociano una mattina d'inverno sul quarantasette, un breve tragitto da casa a lavoro, che basterà per instaurare un tacito rapporto di intesa. Mia sapeva già molto di quelli che considerava i suoi soliti compagni di viaggio, poteva elencarne i volti, il modo di vestire, l'odore e le abitudini. Mia lavora in una libreria che assomiglia a un supermarket dove i libri sono pura merce e le parole, che desiderano poter dire qualcosa, sono state per sempre abbandonate. Quando l'inchiostro si espande sul foglio bianco, non crea solo parole ma veri e propri mondi paralleli da esplorare, la possibilità di poter vivere storie diverse dalla propria, di perdersi fra le pagine e camminare in bilico su una fune, proprio come un equilibrista. Il vuoto sotto i nostri piedi è un trampolino di lancio, non una mancanza, è libertà di movimento e di pensiero. È questo che cerca Victor, vorrebbe liberarsi dalla paura di sentirsi diverso e riuscire così a entrare nel mondo, non in punta di piedi ma come protagonista. La vita finisce davvero solo quando nessuno ci ascolta più raccontare, l'importante è non rimanere su uno scaffale impolverato.

Quarantasette
La voce di Mia

La vettura avanzava tra le buche sull’asfalto, sussultando e rullando come una nave nel mare in tempesta.
Sapevo già molto di quelli che ormai consideravo i miei soliti compagni di viaggio. Potevo ricordare a memoria i loro volti, il modo di vestire e persino l’odore: era la vita sempre uguale a se stessa della grande città che ci rendeva così monotoni, fin troppo ripetitivi negli orari e nei gesti.
Il nostro ritrovo era l’autobus numero quarantasette, quasi una seconda casa, un trenino da luna park dove ogni mattina potevo continuare a sonnecchiare, riprendendo qualche sogno rimasto interrotto e impigliato fra le lenzuola o perdermi nella lontananza dei pensieri di quel limbo lungo e ovattato attraverso cui la coscienza transita dalla notte al giorno.
La memoria è un luogo strano e pieno di fascino. A volte sovvengono, chiarissimi, dettagli all’apparenza insignificanti, minuscoli appigli che serbano la combinazione esatta per aprire in un istante qualche porticina segreta e lasciarci entrare a passi silenziosi nelle soffitte dei ricordi.
Di quel giorno so che avevo in testa un cappello di lana, che il cappello era a righe bianche e nere e che lo sopportavo appena. Che sotto la lana i capelli si stavano increspando e non vedevo l’ora che finisse l’inverno. Lo avevo indossato controvoglia, per tentare di scacciare un’aria più fredda del solito, che mi aveva sibilato nelle orecchie per una buona mezz’ora, mentre aspettavo di veder comparire il bus in lontananza.
Stavo seduta in fondo e disegnavo col dito sul finestrino, dissolvendo il vapore in gocce. Ripensavo a un libro sul significato delle fiabe che stavo leggendo in quei giorni, quando fui distratta da una voce diversa e inaspettata.
– Hey, nevica!
Nella mia città non nevicava quasi mai, eppure guardando attraverso i segni che avevo tracciato sul vetro vidi l’aria densa di fiocchi, poi accanto a me quel sorriso contagioso. Per un istante gli posai uno scorcio di pensiero addosso, poi mi resi conto che parlava a me. Allora mi tirai subito su, cercando di stabilire un minimo di reazione il più possibile gentile.
– È vero, che strano! – gli dissi.
– Mai visto neve da quando soy qui. Fa freddo oggi.
Mi aveva colto di sorpresa e parlava come se ci conoscessimo da sempre, con una spontaneità invitante.
– Ciao, io sono Mia.
Quel modo di presentarmi era l’eco degli slogan nei cortei della mia infanzia, dove andavo a cavalluccio di mamma o di papà, senza sapere dov’ero.
Mi guardò perplesso.
In un lampo pensai che quella frase non poteva rievocargli nulla, chissà se a quei tempi era già nato e comunque probabilmente non era qui. Forse l’aveva fraintesa.
Mia è un nome! – gli spiegai, spogliandomi del cappello.
– Ah, non sapevo! – sorrise – io Victor.
Un altro sussulto improvviso e la signora che gli stava accanto perse l’equilibrio, strattonandolo per non cadere. Lo zainetto blu gli scivolò dalla spalla finendo sulle mie ginocchia, più pesante di quanto immaginassi. Scusandosi con un gesto della mano, mentre la signora borbottava imbarazzata, capivo che Victor aveva qualche difficoltà a esprimersi.
Guardai di nuovo fuori. La nevicata era sempre più fitta, la gente per strada era euforica. Uno spettacolo decisamente inusuale a quell’ora di mattina, quando di solito tutti correvano nervosi per le loro faccende.
Mi accorsi che Victor guardava nella stessa direzione, girandosi ogni tanto verso di me. Forse non ero stata molto socievole con lui.
– Da dove vieni? – chiesi, dopo quel silenzio che avrebbe potuto essere un punto e basta. Come avevo immaginato, non aspettava altro. Sorrise.
Soy di Ecuador.
– Ecuador! E da quanto tempo sei qui in Italia?
– Tre anni. Tanto tempo!
– Davvero.
Sarebbe stato bello partire all’improvviso per l’altro capo del mondo e stare via tre anni, pensai.
– Ti manca la tua terra?
– Sì – abbassò lo sguardo da un lato, spegnendo appena quel sorriso fresco e infantile – non sono ancora tornato.
– Non sei mai tornato a casa? – quasi non ci credevo.
– Non posso, per avere il permesso di soggiorno. Forse adesso vado, il prossimo mese. Dopo tre anni che ho dovuto aspettare.
Sottolineava quel “tre anni” come se fosse un suo pensiero costante.
– E qui cosa fai?
– Pulizie in ufficio la mattina, il pomeriggio lavoro in un supermarket. Non ho mai il tempo per divertirmi! – lo disse ridendo, con un tono che traducevo per ingenuo, ma che forse nascondeva molto altro.
– E non esci mai?
– La domenica sì, con mia sorella e i suoi amici. Lei è venuta prima di me. E tu ora vai al lavoro? – mi riportò in un attimo alla realtà, con un brivido che non era per il freddo.
– Già. Non mi va, si vede? – sorrise, forse capiva che cercavo un alleato per scacciare la noia.
– Ah, sì sì, meglio stare a dormire! Ora io vado a casa a dormire un poco, poi al lavoro nel supermarket. Tu cosa fai?
– Lavoro in una libreria. Una specie di supermarket, dove si vendono i libri – ironizzai, e lui sembrò non capire. O forse ero io a non rendermi conto di quanto fosse distante la mia realtà dalla sua – insomma, un grande negozio di libri.
– Bello, e lavori le otto ore?
– Sì, ma faccio dei turni, a volte cambio orario – tra i fiocchi di neve vidi l’entrata del parco – Oh, devo scendere alla prossima fermata, scusami!
Mi resi conto, mentre lo dicevo, che un po’ mi dispiaceva salutarlo così. Mi sembrava di aver ritrovato un vecchio amico. Ancora non sapevo quasi nulla di lui, ma il fatto che venisse da un paese così lontano mi incuriosiva molto.
– Va bene. Piacere – mi tendeva la mano – allora... ci vediamo.
– Certo – gli risposi tentennando, ma come a voler dire “sicuro”, e ci scambiammo una stretta di mano che era come una promessa.
Si aprirono le porte del bus e scesi giù con la netta impressione di non aver fatto quel che dovevo fare. Les mots dans l’escalier, le parole non dette che ti vengono in mente quando ormai sei già sulle scale, mi erano sfuggite lasciandomi una vaga malinconia. Rimasi con uno strano senso di insoddisfazione. Però in fondo avevo anche fiducia che nel piccolo mondo della routine quotidiana lo avrei incontrato di nuovo.
Non sbagliavo. Da quel giorno ci incontrammo quasi sempre, con casuale fatalità.
Era divertente vederlo spuntare dal lato opposto dell’autobus, che mi cercava con lo sguardo facendosi strada fra i nostri compagni di viaggio assonnati.
A volte, in quelle mattine in cui avevo solo voglia di isolarmi con la musica ficcata nelle orecchie, fingevo di ignorare la sua presenza, di non vederlo nella confusione, per poi salutarlo solo al momento di scendere. E tutte le volte un po’ me ne pentivo, perché sapevo che mi avrebbe fatto cambiare verso alla giornata.
Un sole, il mio “fratellino dell’Ecuador”, come lo avevo rinominato senza dirglielo.
Victor aveva ventitré anni, parecchi meno di me, e mi raccontava di una vita, la sua, così distante dalla mia che mi pareva di vederla scorrere davanti agli occhi come in un film. Era cresciuto in una fattoria, una famiglia contadina con otto tra fratelli e sorelle. Immaginavo i campi coltivati che mi descriveva, le distese ampie con i tori al pascolo. Mi raccontò che aveva paura dei tori, lui. Che se fosse riuscito a tornare dalla sua famiglia per un po’ mi avrebbe portato le foto di quei luoghi.
Mi divertiva parlare con lui, in un misto di italiano e spagnolo che a volte diventava un tentativo di scambiarci delle lezioni estemporanee di lingua.
– Sai che vuol dire amarillo?
– Aspetta, forse lo so. È un colore... rosso?
– Brava, ma non è rosso, è giallo! Rosso es rojo.
– Ma allora il vino tinto?
Vino tinto è il vino rojo.
Ci fu un momento di silenzio. Volevamo entrambi concludere un ragionamento troppo sottile, e ci ritrovammo inceppati sulle barriere linguistiche. Pensai che fosse gentile da parte mia rompere lo stallo.
– Ok, però ho quasi indovinato. Sai che l’estate prossima vorrei andare in vacanza in Spagna? Dai, insegnami qualche altra parola.
Si divertiva molto a fare questo gioco.
Camarones.
– Questa è difficile. Non lo so, dimmelo – e a quel punto si rendeva conto di trovarsi lui in difficoltà.
– Sono piccoli... si mangia fritti o con zuppa.
– Ma cos’è, una verdura?
– Oh no, no – cercava le parole per farmi capire – come pesci ma duri. Sono bianchi, un po’ rosa...
- Ah! I gamberi! Gamberetti!
- Sì, forse... – e assumeva un’espressione di impaccio e tenerezza, solo un po’ attutita dall’autoironia che aveva per natura così evidente.
Io e lui eravamo un mondo a parte su quell’autobus, come se nessuno potesse capirci.
Se ero seduta mi veniva del tutto naturale lasciargli poggiare il suo zaimo – così continuava a chiamare lo zainetto blu da cui non si separava mai – accanto a me, o addirittura tenerglielo sulle mie gambe, anche se dovevo quasi convincerlo.
Mi raccontò che aveva deciso di raggiungere la sorella dopo che la sua ragazza l’aveva lasciato all’improvviso. Come se non avesse più senso stare lì, aveva preferito partire per un paese lontanissimo e cominciare una nuova avventura. Mi sembrava una storia incredibile, soprattutto distante dalla mia e da quelle dei miei amici. Sparire a migliaia di chilometri oltreoceano lasciandosi tutto alle spalle, senza una prospettiva, affrontando incognite di ogni tipo, solo perché a vent’anni una storia finisce, mi lasciava stupita.
E ancora di più percepivo la nostra profonda asimmetria quando mi parlava del suo desiderio di avere una famiglia. Quasi si rammaricava di non avere ancora una moglie e dei figli alla sua età, mentre io che avevo quasi dieci anni più di lui non mi ponevo affatto il problema. Avevo la mia comoda esistenza fatta di un lavoro discreto, una casa, Lorenzo che era la mia sicurezza sentimentale, gli amici.
Forse proprio per questa distanza, di Victor mi incuriosiva tutto, era la mia chiave per conoscere un mondo nuovo: il ragazzo con lo zaimo blu, da cui estraeva per me storie di altri tempi, di gente lontana, di paesi sconosciuti, con una generosità che a volte mi imbarazzava.
In fondo cos’ero io per lui? Solo una compagna di viaggio nel traffico di città.
Qualche volta, come svegliandomi all’improvviso, sospettavo che volesse sposare me, che un giorno o l’altro me l’avrebbe chiesto. La sola idea mi dava un profondo senso di disagio, e allora coglievo l’occasione per infilare il più spesso possibile Lorenzo nei nostri discorsi.
Victor mi raccontava di qualche ragazza cui aveva chiesto di uscire, tentativi inconcludenti in cui si era sentito ancora più solo.
Un giorno tirò fuori alcune cassette di musica e me le diede. Era un certo Widinson, un famoso cantante del suo paese. Insistette molto per farmi accettare quel regalo. A me non sembrava giusto e poi quella musica non mi piaceva affatto, la trovavo melensa e noiosa. Avevo anche qualche difficoltà per ascoltarla, volendo: le musicassette ormai non si usavano più. Per lui, invece, rappresentavano un piccolo tesoro, la voce della sua terra.
A volte era davvero difficile capire se sarebbe stato più giusto accettare qualcosa con formale gentilezza o invece declinare, rischiando di non essere capita.
Quel regalo e il mio imbarazzo, l’incapacità di dirgli le mie vere impressioni sulla musica che tanto amava, la sproporzione fra la mia assoluta indifferenza all’idea di tenere le cassette e il valore affettivo profondo che avevano per lui, tutto questo aprì uno spiraglio di nuova luce sull’idea che avevo di me.
Forse non ero poi così genuina e onesta come pensavo. Nemmeno tanto capace di empatizzare, come volevo credere. Probabilmente non ero, in definitiva, la persona serena che ritenevo di essere.
Avevo compreso però il suo desiderio di risposte, quindi gli preparai un cd con un misto di brani che mi piaceva ascoltare in quel periodo. Un disco leggero leggero.
Lo misi nella borsa con l’intento di darglielo alla prima occasione. Non c’eravamo mai scambiati i numeri di telefono, la nostra amicizia rimaneva sospesa sul filo del caso, o forse del destino.
Lo portai con me per giorni, che divennero settimane. I viaggi in autobus tornarono a essere lunghi e noiosi. Victor sembrava sparito nel nulla. Pensai che non lo avrei più rivisto.

Come vi ho detto all'inizio del post, c'è una copia in palio per i lettori del blog! Ringrazio Giovanna per la gentilezza e la disponibilità!! :)

Ecco cosa fare per poter partecipare al giftaway:
  • essere lettori fissi/followers del blog;
  • lasciare un commento al post in cui mi raccontate perché vi piacerebbe leggere questo romanzo;
  • lasciare il vostro indirizzo e-mail per essere contattati in caso di vincita.
Se avete voglia di fare un po' di pubblicità all'iniziativa tramite i vostri blog o i social network vari, sarebbe davvero favoloso! Qui sotto trovate il bannerino pubblicitario e a fianco c'è il relativo codice da utilizzare.



Il giftaway terminerà alla mezzanotte del 28 febbraio 15 marzo! Siccome non è possibile fare estrazioni pubbliche, vi invito a controllare la posta elettronica il giorno seguente. Il vincitore riceverà un'e-mail! Buona fortuna!

giovedì 14 febbraio 2013

La fallace forza dei blog

Con disappunto, riporto il comunicato stampa che chiarisce e, ahimè, pone fine a un'iniziativa interessante e, soprattutto, onesta e sincera, alla quale avevo preso parte. Sono davvero dispiaciuto, oltre che incazzato. Non ho altro da aggiungere.
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Comunicato Stampa 14/02/13
LA FALLACE FORZA DEI BLOG

La rete, talvolta, produce iniziative meritevoli. A volte i progetti migliori nascono proprio da scambi inconsapevoli. Giunge la proposta, poi il rilancio, e infine la frenesia derivante dall'idea di stare facendo qualcosa di buono, per cui vale la pena spendere energie. Succede così, per caso, anche l'ultima iniziativa scaturita dalle menti di alcuni blogger letterari italiani. Un infelice epilogo ha troncato la possibilità di far evolvere un progetto grezzo in un'iniziativa dall'interessante intento: scoprire e analizzare l'influenza dei blogger sul mercato libraio.

Recensione: "Morire dal ridere" di Maria Antonietta Usardi




Morire dal ridere
AutriceMaria Antonietta Usardi
Editore: 0111edizioni
Data di pubblicazione: 27 aprile 2012
Pagine: 120
Prezzo: cartaceo 13.50 €, e-book 8.99 €

Milano. La famiglia di Vincent e Amelia gestisce da molti anni a Chinatown un negozio per suicidi e nella vita non sembra vedere altro che dolore e sofferenza.
Un giorno di ottobre piomba nella pace domestica il nipote, il piccolo Robespierre, amante della vita, che con tutto il candore dell'infanzia si propone un'attenta e scrupolosa opera di ottimistico sabotaggio ai danni dell'attività degli zii. Una storia a sfondo macabro, ma anche divertente e ironica, sulla vita, sulla morte e sui sentimenti.

Avevo letto diversi pareri positivi riguardo questo libro e quando, lo scorso novembre, l'ho visto disponibile gratuitamente tramite il servizio Correvoce della casa editrice, non ho esitato un attimo e ne ho subito fatto richiesta. Poi però è finito nei meandri del mio adorato Kindle, insieme a un altro centinaio di libri ancora da leggere.
La settimana scorsa avevo voglia di una lettura veloce e leggera, mi son messo a scorrere la lista dei non letti, mi sono ritrovato davanti l'immagine un po' bizzarra della copertina, ho ripensato agli elogi sparsi in rete, e così... ho trovato il libro adatto alle mie esigenze! Morire dal ridere! Il tempo di leggere le prime pagine, e già avevo un ghigno divertito stampato sulla faccia. Questo romanzo è un toccasana per i momenti bui!

Vista la sua brevità, si leggerebbe in un'oretta o poco più. Io invece, durante i primi capitoli, ero talmente appagato dalla lettura, talmente incuriosito da questa grottesca e strampalata famiglia, che ho deciso di centellinarlo. La sola idea di concluderne la lettura, di abbandonare le peripezie di Robespierre, mi faceva deprimere. Al contrario, sapere che il giorno dopo, e quello dopo ancora, avrei ancora potuto berne qualche sorso, mi faceva sentire stranamente bene, allegro.

Nel quartiere milanese di Chinatown c'è un negozietto a gestione familiare per aspiranti suicida. Si chiama "Una volta e per sempre" e chiunque sia stanco di vivere e sia alla ricerca di un modo per porre fine alle proprie sofferenze può star sicuro che in questa lugubre bottega troverà ciò di cui ha bisogno. Vende gli strumenti più comuni (armi da fuoco, corde, cappi, veleni, coltelli, pastiglie), ma anche cose un po' più particolari, per chi vuole un suicidio atipico (katane, kimoni, c'è addirittura il "reparto dei freschi" con piante velenose tropicali).
Se ne occupano Vincent e Amelia, coniugi perennemente depressi, convinti che la vita sia un'inutile ammasso di dolore, e i loro figli adolescenti, anch'essi affetti dal male di vivere (l'eredità dei genitori): Sylvia, un lamento continuo, convinta di essere brutta e che mai nessuno l'amerà, ed Ernest, un ragazzo apatico ma creativo, che passa le sue giornate a inventare nuovi prodotti per il negozio.
L'attività dà buoni frutti, le giornate cupe continuano a scorrere senza lasciare una minima traccia di buonumore, praticamente va tutto (si fa per dire) a gonfie vele, finché un maledetto giorno arriva la sciagura. Il piccolo Robespierre viene affidato ai suoi zii perché sua madre non può più prendersene cura. Porta con sé un pigiamino giallo da cui proprio non si vuole separare, libri da colorare, e tanta, tanta voglia di vivere. Casa e bottega iniziano a popolarsi di sorrisi, parole gentili per tutti, i clienti afflitti iniziano a intravedere un barlume di speranza nella dolcezza e ingenuità dei consigli del piccolo. Sembra proprio che il tenero moccioso, dalla buffa pronuncia con s e z sibilanti, voglia sabotare l'attività di famiglia! Vincent e Amelia dovranno rimboccarsi le maniche e cercare in tutti i modi di trasmettere un po' di cupezza e idee malsane al piccolo, o sono cavoli amari. Chi la spunterà?! Be', ovviamente non aggiungo altro, il libro è talmente breve che ho già detto fin troppo!

Non è semplice parlare di suicidi e morte in modo così spassoso e leggero, senza (s)cadere nella pesantezza o nella banalità. L'autrice è stata capace di mescolare il macabro e il grottesco col comico in maniera impeccabile, e ne è venuto fuori un romanzo fresco e originale. E poi ha dato vita al piccolo Robespierre, un personaggio davvero adorabile, di una grazia, delicatezza e dolcezza uniche!
Vi consiglio di leggerlo. Questo romanzo fa bene al cuore!

Quattro stelle teschi!
Bello, bello, bello!
Mette addosso un'allegria pazzesca!
Va tenuto sempre a portata di mano,
e sfogliato nei momenti "no".


«Certo che mette proprio allegria un bimbo che sorride».